Scienza con Gioia

A valle della presentazione per il Liceo Gioia di Piacenza, Martina ha ricevuto una serie di domande dagli studenti a cui ha risposto nei giorni successivi:

 

DOMANDE

  1. Lei con quale punto di vista è più d’accordo rispetto al dibattito tra i due professori, prima citato?

Il dibattito è abbastanza datato (2015). In questi anni la posizione sostenuta dal Prof. Caserini si è ormai consolidata tra gli scienziati. Ve l’ho consigliato tra gli approfondimenti per dirvi in realtà qualcosa di ovvio: che nessuno scienziato ha la verità in tasca (ammesso che ci sia una sola verità), che finché non si arriva ad una teoria supportata da evidenza scientifica.. anche la scienza può essere opinione.. e che la scienza non è democratica (pensate a Galileo).

  1. Cosa ne pensa di Greta Tunberg?

L’immancabile Greta… Lasciando stare la strumentalizzazione, l’esasperazione e l’esagerazione mediatica.. penso che sia molto triste che una ragazzina che dovrebbe avere l’opportunità di andare a scuola, di studiare di mangiare una torta di mele a casa della nonna con le amiche, si senta invece in dovere di sostenere in questo modo totalizzante una causa molto più grande di lei sotto tutti i punti di vista. In generale, ben venga ogni movimento o iniziativa che possa contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dei cambiamenti climatici e delle azioni per contenerli. Ovviamente, la partita si gioca sia sul piano delle responsabilità individuali (ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni e delle conseguenze che esse possano avere sull’ambiente) sia sul piano delle decisioni politiche (le strategie di mitigazione, le politiche di incentivazione delle misure di contenimento, come le rinnovabili, la tassazione delle emissioni carboniche). Pertanto, figure come quelle di Greta possono avere una doppia valenza: da un lato il sostegno alla formazione di una coscienza collettiva, dall’altro uno stimolo e un approccio critico per i decisori politici. Entrambi gli aspetti sono fondamentali. Le azioni di Greta Tunberg sono importanti, ma credo che per attaccare davvero i problemi alla base ci vorranno molte altre iniziative indirizzate su più livelli.

  1. Quale era la temperatura media globale prima della rivoluzione industriale?

I gas serra naturalmente presenti nell'atmosfera riscaldano il nostro pianeta ad una temperatura media di 15 ° C. In assenza di questi, la temperatura sarebbe di -18 ° C.

Il Global Climate Report 2015-2019 offre i dati più aggiornati di cui noi disponiamo. La temperatura sulla Terra è aumentata di 1,1°C dal periodo preindustriale e di 0,2 gradi rispetto al quadriennio 2011-2015.

  1. Le piogge acide non sono considerabili come una causa diretta del cambiamento climatico / surriscaldamento globale?

Premettendo che non si tratta di un’area scientifica di nostra competenza diretta, risulta, dalle pubblicazioni scientifiche specialistiche, che i due fenomeni siano distinti anche se correlati. Le piogge acide rappresentano il secondo dei tre motivi di preoccupazione ambientale emersi di recente ma non sono una causa del surriscaldamento globale. Le precipitazioni acide sono un fenomeno in parte imputabile a provvedimenti adottati nei decenni passati dai Paesi sviluppati per ridurre il volume di fumo e fuliggine emessi nell’aria delle ciminiere delle centrali elettriche, degli stabilimenti e delle fabbriche. I programmi mirati a ridurre i fumi nelle città e ottenere un’aria pulita, richiesti dalla popolazione e dagli ambientalisti, preoccupati per la salute umana e per le condizioni dei terreni coltivati, comprendevano il divieto di emettere inquinanti atmosferici dannosi solo per le zone ubicate vicino al punto di scarico degli stessi. Per tale ragione, si provvide a innalzare le ciminiere a un’altezza tale da permettere che fumo, fuliggine e gas fossero trasportati lontano dal luogo di emissione, grazie ai venti presenti negli strati superiori dell’atmosfera. Il biossido di zolfo e gli ossidi di azoto presenti nel fumo venivano spinti verso strati elevati dell’atmosfera, anziché essere depositati nelle aree vicine. Lì si mescolavano con l’acqua e altre sostanze chimiche trasformandosi in acido solforico e acido nitrico, che venivano trasportati lontano. A questi composti si aggiungevano altre fonti di gas acidi: gli scarichi dei veicoli a motore contengono infatti quantità abbondanti di ossido di azoto, mentre i vulcani possono produrre ingenti volumi di gas acidi. Quando le sostanze acide provenienti da fonti diverse ricadono nell’atmosfera per effetto della pioggia o della neve, si manifesta il fenomeno delle piogge acide.

Le piogge acide sono un fenomeno a scala prevalentemente regionale (nel senso che colpiscono determinate aree del pianeta), mentre il riscaldamento globale è un fenomeno a scala mondiale. I fenomeni possono essere correlati sotto alcuni punti di vista: i) ridurre i combustibili fossili ad elevata produzione di CO2 per combattere il riscaldamento globale può avere un effetto anche sulla riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo e di azoto e quindi può contenere le piogge acide; ii) per contro, la presenza di composti solforosi in atmosfera può addirittura avere un effetto benefico di rallentamento del riscaldamento globale perché queste particelle riflettono al luce del sole, contenendo il riscaldamento degli strati bassi dell’atmosfera (questo fenomeno risultò evidente in occasione dell’eruzione del vulcano Pinatubo  nelle Filippine nel 1991, quando le particelle solforose in atmosfera determinarono un abbassamento di 0,5°C della temperatura media); iii) una atmosfera più calda può favorire le reazioni chimiche che sono alla base della formazione delle piogge acide. In generale, politiche di contenimento sia dei gas serra sia dei composti che determinano le piogge acide sono sicuramente la strategia da perseguire per avere benefici ambientali su più fronti.

  1. Le Politiche amiche dell’Ambiente non rischiano di frenare la Produzione Industriale?

Un rischio, a mio avviso, a cui le imprese devono rispondere con i fatti: l’innovazione e la sostenibilità. A questo proposito le grandi aziende sono sempre più sensibili alle istanze di un’opinione pubblica che ritiene prioritaria la lotta ai cambiamenti climatici. Se infatti nell’agosto 2019 la dichiarazione del “Business Roundtable” (il più grande e influente gruppo di corporations negli USA) metteva per la prima volta nero su bianco che “la priorità non deve essere il profitto ma la qualità della vita dei consumatori”, ora è l”Edelman Trust Barometer”, redatto dalla maggiore azienda di pubbliche relazioni al mondo per fatturato, ad affermare che per l’82% dei suoi investitori “massimizzare i profitti non può più essere il principale obiettivo, perché ciò che interessa al pubblico sono i temi sociali e ambientali a cominciare dal clima”.

  1. Lei crede che sarà mai possibile parlare veramente di sviluppo sostenibile? Considerando anche che non tutti i paesi se lo possono permettere?

Il “World Energy Outlook” (Agenzia Internazionale dell’Energia) del 2019, sostiene che “India e Cina sono al tempo stesso il problema e la soluzione del cambiamento climatico” perché consumano il 60,2% del carbone a fini di produzione elettrica usato sull’intero Pianeta (da cui dipendono le emissioni più nocive) mentre le quote di USA e UE sono rispettivamente 11,1% e 5,2%. Ciò comporta che il focus dell’azione deve mutare: i negoziati multilaterali per ridurre le emissioni restano strategici, ma la priorità per affrontare l’emergenza clima si sposta sulle decisioni dei singoli Stati nazionali. Servono leggi e investimenti per inquinare di meno, educare le nuove generazioni al rispetto dell’ambiente e creare infrastrutture capaci di proteggere i cittadini dagli effetti dei cambiamenti climatici. Molte tecnologie sono pronte per la sostenibilità ma la loro implementazione non può prescindere da una volontà politica e dalla corretta informazione ed educazione dei cittadini.

  1. Al giorno d’oggi, l’energia nucleare, in Italia, sarebbe più un rischio o una risorsa se fosse impiegata in quantità massicce come in Francia?

Quello del nucleare è uno degli argomenti che attengono ai metodi di produzione energetica che maggiormente riesce a dividere in modo netto le opinioni sia degli esperti sia dei comuni cittadini. Tanti sono gli aspetti critici da tenere in considerazione (sicurezza, complessità e proliferazione, trattamento e deposito sicuro delle scorie) ma tanti sarebbero anche i vantaggi (in primis la sostanziale assenza di emissioni ad effetto serra) . Per non fare un trattato sull’energia nucleare (che probabilmente non sarei nemmeno in grado di fare con la necessaria autorevolezza scientifica), rispondo alla sua domanda con questa considerazione: durante il seminario ho usato la frase “il cielo è uno solo”. Se si verificasse un incidente severo in una centrale nucleare al confine con l’Italia, pensa che i danni per il nostro paese sarebbero molto diversi da quelli che si avrebbero se fosse scoppiata la nostra centrale di Caorso? Ancora una volta il problema non è solo tecnologico ma è anche politico e di accordo tra le nazioni.

  1. Cosa ne pensa della correlazione tra allevamenti intensivi e riscaldamento globale?

Come evidenziato dalla FAO, gli allevamenti intensivi giocano sicuramente un ruolo visto che producono circa il 14-18% dei gas serra (anidride carbonica, metano e ossidi di azoto) generati dalle attività umane. Esistono esperienze concrete in giro per il mondo e molti studi, che indicano le strategie per ridurre anche a drasticamente queste emissioni. Ad esempio, vi sono studi che dimostrano riduzioni fino ad oltre il 50% delle emissioni di gas serra grazie al ricorso a tecniche di sequestro del carbonio nei terreni e ulteriori riduzioni ottenute grazie all’efficientamento dei processi (Reducing climate impacts of beef production: A synthesis of life cycle assessments across management systems and global regions, Daniela F. Cusack, Clare E. Kazanski, Alexandra Hedgpeth, Kenyon Chow, Amanda L. Cordeiro, Jason Karpman, Rebecca Ryals – Global Change Biology; https://doi.org/10.1111/gcb.15509).

Tuttavia, è indubbio che il problema permanga, soprattutto in virtù del consumo crescente di carne. Pertanto, una riduzione della domanda di carne nel mondo, soprattutto bovina, appare come una strategia imprescindibile per contenere questa quota di gas serra.

  1. Non crede che riuscire a convertire le industrie che operano oggi con l’impiego sostenibile sia improbabile (dal momento che puntano i loro guadagni sulla produzione seriale e considerando che sono proprietari di potenti multinazionali)?

Nel mondo del grande business cresce la consapevolezza della necessità di impegnarsi per il clima (Vd. Risp a domanda 5. – “Edelman Trust Barometer”), un evento che può aprire nuovi orizzonti e delineare nuovi scenari. Certamente questo interesse industriale è anche legato alla cosiddetta “carbon tax” (ovvero una tassa sulle emissioni che ogni paese può decidere di imporre) o al meccanismo dell’ETS (Emission Trading System). La logica dietro queste tasse è: “se esiste una tecnologia di mercato sostenibile che consentirebbe alla tua industria di produrre inquinando di meno e non la vuoi adottare dovrai pagare un tot per ogni kg di inquinante X emesso rispetto ad un minimo consentito”.

  1. Riguardo lo stoccaggio di CO2 negli oceani, a lungo andare, potrebbe influenzare l’ecosistema marino?

Non sono un geologo. Per rispondere mi baso sugli studi e sui progetti di cui sono a conoscenza. La prima considerazione che mi sento di fare è che se esistono nel mondo giacimenti naturali di CO2 (come illustrato durante il seminario), un modo sicuro e “naturale” per tenere la CO2 confinata nel sottosuolo deve esserci. Se lo si fa bene, la CO2 resta nelle formazioni geologiche adatte. Per influenzare l’ecosistema marino (a causa dell’acidificazione dei mari) questa CO2 dovrebbe uscire dal luogo in cui è stata confinata. E’ quindi necessario un sistema di monitoraggio che sia in grado appunto di monitorare eventuali fuoriuscite di CO2 che vanificherebbero gli sforzi fatti per catturarla e stoccarla.

  1. Per migliorare il nostro futuro, oltre a “contenere” + “i danni già fatti e a diminuire le quantità di emissioni, ecc. c’è un elemento naturale o anche qualcosa che può fare l’essere umano per “eliminare” la CO2 in eccesso? E’ proprio impossibile catturare ed “eliminare” in qualche modo tutta questa CO2 eccessiva e far diminuire la temperatura globale di quei famosi 2 gradi?

Si stanno studiando dei metodi per la cattura di CO2 direttamente dall’aria (https://www.nature.com/articles/s41560-020-00771-9.epdf?sharing_token=MauoHxobZ3BVIaQnHIQutdRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0OEKeY9z0ZKZCHOJUdL6cEV9A-FuZA7TH7X4nBvetkQs0m2vrwRdM0JbjgOpOQwZ0nUnTZODiRY4BydPP_JmQbc2WmyNg5f1Obm7O3rbr_AjBPHYv5pB_BB5IAdDy_fcKU%3D) ma economicamente sembra non conveniente perché la densità di CO2 nell’aria è bassa, la potenza dei ventilatori richiesta per trattare elevati volumi è alta e ci sono anche i costi associati alla rigenerazione.

  1. Quando crede che esaurirà il petrolio?

Ai ritmi di consumo attuale e tenendo conto della crescita della popolazione si parla di un 45-50 anni circa. Questi numeri però sono da considerarsi veramente molto indicativi perché dipendono da troppi fattori al contorno (compresa la pandemia che è stato un evento totalmente inatteso).

  1. L’iniezione della CO2 in pressione nel sottosuolo potrebbe compromettere le falde acquifere?

Di per sé, la presenza di CO2 non influisce sulla potabilità dell’acqua: molte persone bevono acqua gassata. Nondimeno, sono stati condotti molti studi per verificare i possibili effetti della CO2 sui minerali disciolti nell’acqua. Questi studi hanno dimostrato che, quando la CO2 entra in contatto con le falde acquifere, di solito l’acqua rimane entro gli standard di potabilità. E’ comunque necessario, e oggetto di progetti in corso, ampliare i risultati esistenti, studiando ad esempio vari tipi di roccia in condizioni diverse, per vedere se alcuni siti potrebbero essere più vulnerabili di altri.

  1. Ma le fabbriche hanno peggiorato il clima o sarebbe andata così ugualmente?

Sì, la Terra ha pochi miliardi di anni e per tutta la sua "vita" è stata attraversata da periodi glaciali e periodi caldi. Lo sappiamo grazie ai sedimenti recuperati nelle calotte polari che ci permettono di conoscere il clima di una volta. I periodi caldi si verificano approssimativamente ogni 100.000 anni e durano in media 10.000 anni. I periodi freddi e caldi si alternano in migliaia di anni, gradualmente, permettendo agli ecosistemi e agli esseri viventi di evolversi e adattarsi.

Il problema che abbiamo oggi è che tra la rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo, ma soprattutto l'arrivo del motore a scoppio risalente al secolo scorso, il riscaldamento ha subìto un’accelerazione. Quello che succede generalmente in oltre 1.000 anni, sta accadendo oggi in 100 anni. Oggi l'aumento della concentrazione di CO2e è da 100 a 200 volte superiore rispetto a quello dell'ultima era glaciale.

Quindi… sì, poteva andare comunque così. Di certo in questi ultimi anni abbiamo fatto qualcosa mai fatto prima: immettere in atmosfera una quantità di CO2 da attività umane che ci ha portato a concentrazioni di quasi 400 ppm.

  1. Se non erro il prossimo anno ci sarà un meeting in Inghilterra riguardo i cambiamenti climatici, sa dirci qualcosa a riguardo?

La 26esima Conferenza delle Parti (COP26) della Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC) che doveva tenersi a Glasgow l’aprile scorso è stata rinviata al 2021 (1-12 novembre). L’UNFCCC, approvata nel 1992, è il principale trattato internazionale in materia di lotta contro i cambiamenti climatici. Il suo obiettivo è impedire pericolose interferenze di origine umana con il sistema climatico mondiale. L’UE e tutti i suoi Stati membri figurano tra le 197 parti contraenti della convenzione. Il principale organo decisionale dell'UNFCCC è la Conferenza delle parti (COP) che si svolge annualmente e tutte le parti della convenzione possono parteciparvi. I rappresentanti del mondo imprenditoriale, delle organizzazioni internazionali, dei gruppi di interesse e delle associazioni hanno lo status di osservatore.

Era questo il chiarimento richiesto?

  1. Quali conseguenze ha portato per l’ambiente la pandemia COVID?

Le restrizioni stabilite per contrastare la pandemia in atto, hanno fornito alcuni impatti positivi a breve termine sull’ambiente europeo. L’inquinamento atmosferico e quello acustico sono stati i primi a beneficiarne. In particolare, l’inquinamento atmosferico ha beneficiato della diminuzione della domanda di trasporto (sia per viaggi di lavoro che di piacere) e della sospensione di alcune attività industriali. Lo stesso vale per l’inquinamento acustico. Per entrambi gli ambiti bisogna però sottolineare che gli effetti benefici hanno bisogno di un lungo termine per essere visti. Tuttavia, questa esperienza dimostra quanto incida sull’ambiente il nostro modo di vivere e quanto sia relativamente facile porre dei rimedi in tempi anche brevi.

D’altra parte, questa emergenza ha però mostrato chiari segni negativi su altri aspetti, ad esempio il maggior consumo di imballaggi e prodotti in plastica monouso.

  1. Salve volevo chiedere come mai non si parla mai degli allevamenti intensivi nonostante molti studi dimostrino la correlazione tra questi e il riscaldamento globale? Lei cosa ne pensa?

Vedi risposta a domanda n° 8.

  1. Io penso che nei paesi del terzo mondo sia molto più facile arrivare alla neutralità ambientale perché non hanno un sistema industriale, che invece noi dobbiamo convertire totalmente

Su questo punto non bisogna cedere a false illusioni. Prima di tutto, i paesi “in via di sviluppo” hanno standard di vita molto lontani dai nostri (ad esempio, disponibilità e accessibilità all’energia elettrica o all’acqua potabile), quindi non è detto che non avere un sistema industriale sviluppato sia solo un bene per l’uomo. Inoltre, anche per l’ambiente non è scontato che questo sia positivo. Esistono, infatti, molti esempi nel mondo di paesi in cui le produzioni di materie prime o prodotti avvengono con tecnologie arretrate e senza standard ambientali e di sicurezza adeguati e ciò determina un impatto sulla salute umana e sull’ambiente ben peggiore di quello di sistemi industriali moderni. Per concludere, quello a cui si sta universalmente puntando è sostenere l’insediamento di sistemi industriali moderni, efficienti e il più possibile rispettosi dell’ambiente anche nei paesi in via di sviluppo.

  1. Quale potrebbe essere il settore dal quale si potrebbe partire per andare incontro a produzioni più sostenibili (cibo, vestiti, ecc)?

Guardando il grafico la risposta è: l’energia. Bisogna arrivare a produrre ed utilizzare energia pulita per l’industria, per i trasporti e per le abitazioni e gli edifici in genere.

  1. Secondo lei, le Politiche UE attuate nell’ultimo decennio, sono sufficienti o pensa ci sia necessità di un maggiore sforzo da parte dell’UE per far fronte ad inquinatori come Cina e USA?

Qui non c’è un “secondo me”. I dati parlano da soli: gli obiettivi dell’accordo di Parigi stanno per diventare, di fatto, non più raggiungibili. Il maggiore sforzo a livello planetario è quindi indispensabile. La UE da sola non potrà certo materialmente bilanciare le emissioni del resto del mondo e nemmeno quelle dei singoli grandi emettitori (come la Cina). Tuttavia, la UE sta esercitandoy, e dovrà farlo sempre con maggiore convinzione ed efficacia, un ruolo di traino, in qualche misura di “esempio virtuoso”, in modo tale che, oltre al contributo materiale in termini di riduzioni delle emissioni, possa determinare un effetto politico efficace sugli altri paesi del mondo.

  1. E’ possibile il riciclaggio dell’acciaio e di altri metalli?

Certo e già si fa. Per approfondire l’argomento consiglio un testo molto basilare: “Dove vanno a finire i nostri rifiuti?” – Mario Grosso e Maria Chiara Montani – Zanichelli.

  1. Cosa ne pensa dei telegiornali che mentre parlano di inquinamento mostrano immagini di centrali nucleari che producono vapore acqueo?

Penso che fare i giornalisti al giorno d’oggi non sia affatto semplice… bisognerebbe essere degli etici tuttologi con eccellenti capacità divulgative.

  1. Franco Marzaroli: il 60% della CO2 prodotta ritorna ad essere “roccia” una volta che il cemento è stato messo in opera dai muratori, il problema è quel 40% necessario ad ottenere CaO dove finisce questo 40%?

Le emissioni di CO2 al camino di una cementeria derivano da 3 contributi: la calcinazione della materia prima (ca il 60%), la combustione nel pre-calcinatore e la combustione nel forno rotante. Al momento tutta questa CO2 (poco meno di 700 kg per tonnellata di cemento prodotto) viene emessa in atmosfera. Il progetto CLEANKER vuole testare la fattibilità a livello industriale della tecnologia Calcium Looping applicata ai cementifici che consentirebbe di catturare oltre il 90% di questa CO2.

  1. Pensa che si possa arrivare ad un futuro totalmente sostenibile?

Sì, in un modo che probabilmente nemmeno possiamo immaginarci. Pensate cosa avrebbero risposto i romani se qualcuno avesse loro chiesto: “pensate si possa arrivare a raggiungere il Rubicone in 6 ore?”

  1. Secondo lei diventare vegani aiuterebbe l’ambiente?

Sicuramente gli allevanti hanno un consumo di acqua associato molto preoccupante… questa è la principale criticità (a mio avviso). Detto questo, se, anziché diventare vegani, si mangiasse carne 1 o 2 volte a settimana? Non c’è bisogno di diventare vegani per salvare l’ambiente. E ve lo dice una persona estremista e che mangerebbe una bistecca anche a merenda.

  1. I paesi stanno rispettando gli impegni che hanno preso con l’accordo di Parigi?

Nonostante i molti sforzi di programmazione e anche molti esempi virtuosi, purtroppo il bilancio globale appare ancora negativo. Si può fare riferimento, ad esempio, al rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) denominato “Emissions Gap Report”. Nel dicembre 2020 è stata pubblicata l’11-esima edizione: si tratta di un rapporto annuale dedicato allo studio delle emissioni di gas serra a livello globale. Ogni anno, il rapporto valuta la differenza che intercorre tra le emissioni stimate e i livelli di emissioni previsti dagli Accordi di Parigi, che mirano a mantenere il riscaldamento globale sotto i 2 °C. In particolare, quest’edizione delinea un quadro generale condizionato dalla pandemia da Covid-19. Malgrado il significativo rallentamento dell’economia globale dovuto alla pandemia e la conseguente riduzione delle emissioni di CO2, il rapporto sottolinea che il mondo sta procedendo inesorabilmente verso lo sforamento dei parametri posti dagli Accordi di Parigi. Il rapporto rileva infatti che nel 2019 le emissioni totali di gas a effetto serra hanno raggiunto un nuovo massimo di 59,1 Gton di CO2. Le emissioni globali di gas serra sono aumentate in media dell’1,4% all’anno dal 2010, con un aumento del 2,6% nel 2019 a causa di un forte aumento degli incendi boschivi.